Il Vangelo della Domenica con Albino Luciani: 12 giugno 2021, XI del tempo ordinario (B)

“Il Vangelo della domenica con Albino Luciani”

Domenica 13 giugno 2021: XI del tempo ordinario (B)

(Ezechiele 17, 22-24; Salmo 91; 2Corinzi 5, 6-10; Marco 4, 26-34)

                Dopo la solennità del Corpus Domini inizia il lungo tempo ordinario che ci accompagnerà fino alle soglie del “capodanno liturgico”, cioè il tempo di Avvento del prossimo novembre. Potremmo definire questa domenica come quella del “già e non ancora”.

“Già e non ancora” guardando alla lettura del profeta Ezechiele. Attraverso l’espediente retorico del paragone vegetale del ramoscello di cedro, il profeta annuncia che l’opera di Dio è ispirata al sostegno dei deboli e all’innalzamento degli umili: “Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore, che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso, faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco”. La scelta di ciò che è piccolo, umile, fragile è quel “già” del Signore che sostiene e vede in prospettiva la crescita, per grazia e non per merito: il monte alto d’Israele è scelto come messa a dimora del ramoscello di cedro, come luogo dove trovare prosperità, crescita, sviluppo, storia.

Anche il salmo 91 parla di palme che fioriscono, cedri del Libano che crescono… e che daranno frutti e saranno vegeti e rigogliosi anche in vecchiaia: tutto “per annunciare quanto è retto il Signore”.

“Già e non ancora” nel brano della seconda lettera di Paolo ai Corinzi. L’Apostolo parla delle due dimensioni proprie dell’uomo, del credente: quella corporale e quella non corporale. La prima è la condizione dei viventi che “pieni di fiducia (…) camminiamo nella fede e non nella visione”; la seconda, invece, è quella che ci permetterà di “abitare presso il Signore”, andando in esilio dal corpo. Ciò che lega e accomuna le due dimensioni è presto detto: “sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi”. Dunque piacere al Padre, cercare e seguire la sua volontà e dimensione fondamentale della vita di fede e cammino necessario perché ciascuno sia trovato fedele, pronto ad attendere e a riconoscere il regno di Dio in mezzo al mondo.

“Già e non ancora” nel brano evangelico in cui Gesù parla del regno di Dio: egli ne parla come il seme gettato nel terreno che cresce misteriosamente da solo; egli ne parla come il granello di senape che, da più piccolo dei semi del terreno, diventa più grande di tutte le piante dell’orto “e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”. Le parabole del regno rivelano ma non del tutto: c’è un’azione misteriosa che ha bisogno del nostro intervento, della nostra collaborazione: dobbiamo essere il terreno buono che accoglie il seme, oppure colui che come contadino getta il seme, oppure ancora come quegli uccelli che trovano, gratuitamente, riparo sui rami di quell’albero di senape che non hanno contribuito a fare crescere. Gesù invita a non essere troppo legati ai “risultati”, bensì ad essere pronti a seminare o ricevere il seme, testimoniare e ricevere testimonianza di quest’opera divina, reale e pur sempre misteriosa. Il regno di Dio è anche la presenza della Chiesa che, come madre, genera, accoglie e fa crescere i suoi figli.

Albino Luciani quando era vescovo di Vittorio Veneto ebbe a scrivere un articolato testo dal titolo “Riflessioni sulle prudenza cristiana”; mi sembra utile suggerire la lettura di una parte significativa nella quale evoca il regno di Dio e poi applica tale ricerca del regno con alcuni esempi:

  1. a) «Cercate prima il regno di Dio». Cioè: prima Dio e la propria anima, dopo il resto; mai andare contro la legge del Signore; qualunque successo politico, amministrativo non è successo, ma insuccesso e disastro, se si raggiunge calpestando la propria coscienza, la giustizia, la carità. b) Chi è sopra, è a servizio di chi è sotto. Tanti sono i padroni quanti i sudditi, diceva Bossuet. Non c’è «giusta superiorità di uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio» pensava il cardinal Federigo e il generale Luigi Morandi si proponeva di mettere questo principio alla base dell’educazione, che veniva impartendo a Vittorio Emanuele III (L. Morandi, Come fu educato Vittorio Emanuele III, Torino 1903). L’amministratore cristiano lo metta alla base della sua azione pubblica in omaggio e sull’esempio di colui che è «venuto per servire» (Mt 20,28). c) Abbiamo tanto bisogno dell’aiuto di Dio. Salomone ha avuto in complesso un buon governo: ha fatto conoscere agli ebrei la loro vocazione al commercio, ha sfruttato miniere, ampliato porti, allestito una flotta mercantile per il commercio con l’estero, ha mantenuto la pace: è stato accorto, diplomatico, tempista, ma soprattutto, ha avuto l’assistenza di Dio. «Signore, io sono un piccolo ragazzo – aveva pregato appena fatto re – non so né entrare né uscire», cioè non so dove cominciare e dove finire con tanti interessi da regolare, con tanti fatti da esaminare, tante ini-ziative da incoraggiare: «da’ quindi al tuo servo una mente docile a governare il tuo popolo, a discernere il buono dal cattivo: altri- menti chi potrebbe governare»? (1Re 3,7ss.). Ne L’eroe cinese, con riferimento a chi è in alto, dice Metastasio: A compier le belle imprese l’arte giova e il senno ha parte; ma vaneggia il senno e l’arte quando amico il ciel non è. (Riflessioni sulle prudenza cristiana, 26 gennaio 1964, O.O. vol. 3 pag. 142)

Il nostro Albino Luciani ha le idee chiare quando si parla del regno di Dio: mettere al centro il Signore e dare priorità alla propria anima; il potere esclusivamente come servizio; invocare sempre l’aiuto di Dio. Queste tre coordinate ci aiutino a vedere il regno di Dio che è presente, cresce e si sviluppa intorno a noi, chiedendo la nostra collaborazione.

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